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Cosa è successo al centrocampo dell’Inter? Da punto di forza a punto debole

23 Novembre 2020
Cosa è successo al centrocampo dell’Inter? Da punto di forza a punto debole

Il 23 settembre, il sito Sky Sport scriveva: “Inter. Conte ha il secondo centrocampo più prezioso d’Europa”, e poi continuava così: “Con l’arrivo di Vidal Conte ritrova un suo pupillo e aggiunge un altro tassello al centrocampo, insieme ai vari Barella, Eriksen, Hakimi e Brozovic. Stando ai numeri del portale Transfermarkt, solo una squadra ha un valore di mercato più alto dei nerazzurri in quel reparto”. Oggi, 23 novembre, ci si accorge che qualcosa davvero non va nel centrocampo dell’Inter. Ma cosa esattamente?

Da punto di forza a punto debole nel giro di pochi mesi. L’Inter è arrivata in finale di Europa League (e in campionato seconda ad 1 punto dalla Juve tritatutto) con il trio Brozovic-Barella-Gagliardini (a volte Eriksen, quasi mai Sensi). Oggi i problemi della squadra, più che in difesa, sono soprattutto a centrocampo. Si perchè un’analisi tattica accurata non può prescindere dal contesto in cui le partite si svolgono. Anche se la maggior parte dei tifosi invoca il cambio dalla difesa a 3 a quella a 4, il problema vera è la linea mediana.

Già in passato Conte ha vinto (o alla peggio ha fatto una gran figura) con la difesa a 3, e dunque risulta evidente che il problema non sia li. La nostra analisi partirà, dunque, da quella che è la storia sportiva del tecnico salentino da quando è diventato grande (tralasciando dunque le esperienze pre Juve, dunque Bari, Siena, Atalanta e Arezzo).

Juventus (2011-2014) – Pirlo, Marchisio, Vidal, Pogba. L’inizio di ciò che ancora oggi è una tirannia. Nella sua esperienza alla Juve la differenza è stata fatta da un fattore fondamentale: Andrea Pirlo. La costruzione del gioco passava interamente dai piedi del Maestro, che con i suoi lanci riusciva a creare traiettorie irripetibili per i comuni mortali. Nella prima stagione le due mezze ali erano Vidal e Marchisio, che con i loro inserimenti creavano buchi profondissimi nelle difese avversarie. Lo schema era efficacissimo nella sua semplicità: scarico indietro per Pirlo, pallone lungo di prima a pescare in area gli incursori che si trovavano costantemente liberi. Ma non solo le mezze ali giovavano di questo schema.

Da ricordare come i due esterni, e in particolare Lichtsteiner (non certo un fenomeno, di certo inferiore ad Hakimi) siano stati in grado di segnare molti gol con questa impostazione tattica. Segno che, con i giocatori giusti, il modo di impostare la tattica di Conte funziona. Il secondo anno è arrivato un certo Pogba, e allora il sacrificato illustre fu Marchisio (rigenerato poi da Allegri fino al crack del crociato, che di fatto ha messo fine alla sua carriera). Qui si può notare, dunque, il primo punto tattico fondamentale. Il play attuale dell’Inter, Marcelo Brozovic, semplicemente non è Pirlo.

E per dimostrare che a volte le analisi tattiche sono più semplici di quello che sembra, il secondo punto è che Vidal ha 10 anni in più. Questo vuol dire circa 500 partite in più sulle gambe, mica poche. Per il resto, il modo di giocare di Conte è rimasto invariato rispetto a quella prima esperienza. Gli attaccanti dialogano nello stretto oggi come lo facevano ieri, in difesa uno comanda e tiene la linea, uno scappa in profondità e uno anticipa. il problema non è li.

Italia (2014-2016) – Daniele De Rossi, Thiago Motta, Parolo, Giaccherini. L’Inter in rosa non ha neanche un giocatore come De Rossi. Barella potrebbe arrivare al livello di Capitan Futuro, ma gli manca ancora l’esperienza internazionale e le spalle larghe del giallorosso. I due mediani ( De Rossi e Motta, di cui ne giocava solo uno alla volta) erano dotati di un grande senso della posizione e di un’ottima intelligenza tattica,  mentre i due interni di centrocampo (Parolo e Giaccherini) erano utili nello svolgere entrambe le fasi. Questo soprattutto grazie alla loro duttilità nel ricoprire più ruoli del centrocampo possedendo ottimi tempi di inserimento, grande resistenza fisica e buone doti di recupera palloni. Quell’Italia era l’Italia di Conte. Buoni gregari, nessun fenomeno.

In fase di possesso l’Italia si disponeva con un 1/3-1-2-4 nel quale i due esterni di centrocampo Candreva e Darmian si posizionano in linea con le due punte. I tre difensori centrali partecipavano alla costruzione e allo sviluppo della manovra prestando però sempre molta attenzione alle marcature preventive. La costruzione del gioco della Nazionale Azzurra era, come detto, principalmente affidata ai tre difensori centrali che con il giro palla provavano a superare la prima linea di pressione portata dalle squadre avversarie.

Ma l’aspetto più interessante era l’ampiezza ad allargare il campo che determinavano i due interni di centrocampo e la posizione molto alta dei due esterni (Candreva e Darmian) che si allineavano con le due punte. La posizione in campo di Hakimi è la perfetta rappresentazione di come questo concetto sia valido ancora oggi. L’Italia verticalizzava o lanciava spesso sulle due punte che spaziano nella zona di rifinitura e creano soluzioni interessanti, come per esempio premiando l’inserimento dell’interno di centrocampo che attacca lo spazio alle spalle della difesa. Qui la considerazione è un’altra. I giocatori a disposizione di Conte in questo periodo erano infinitamente meno forti di quelli nerazzurri. Inoltre, le ore di allenamento insieme come gruppo erano decisamente inferiori. Dunque perchè quell’Italia era in grado di muoversi perfettamente all’unisono e questa Inter no?

Un fattore forza fondamentale ma spesso poco riconosciuto è un giocatore come Candreva. Antonio è il giocatore perfetto per Conte, e non a caso i picchi della sua carriera sono arrivati proprio assieme al tecnico leccese (se si tralascia la parentesi laziale dove, sempre giocando da esterno destro a tutta fascia, faceva sfaceli). Che gli sia stato dato il benservito troppo velocemente? D’altronde è risaputo come Conte preferisca con giocatori già pronti e affermati, piuttosto che valorizzare (plasmare?) giovani promettenti.

Chelsea (2016-2018) – Kanté, Bakayoko, Drinkwater, Barkley, Hazard, Fabregas, Moses (più o meno). Anche qui la situazione non cambia. Primo anno a Stanford Bridge, vittoria della Premier League. Certo, non c’era ancora il Liverpool ingiocabile degli ultimi due anni, ma pochi allenatori sono stati in grado di vincere al loro primo anno in Premier (Ancelotti e Mou gli ultimi proprio al Chelsea). In questa squadra è portata all’estremo la maniacali di Conte, con tutta la prima stagione condotta praticamente con gli stessi 11 in campo. A centrocampo Kantè e Bakayoko sono due tasselli inamovibili, ma quando c’è bisogno (raramente) Drinkwater è la prima scelta, mentre Barkley la seconda. Hazard, nonostante sia sulla linea della trequarti, vive le sue stagioni migliori e, lasciato abbastanza libero per gli standard del tecnico, diventa immancabile per chiunque.

Per quanto riguarda il gioco, Kantè si abbassava a prendere palla dai 3 centrali di difesa. Se il francese era marcato, allora si abbassavano Bakayoko o Fabregas (più raramente l’ex Arsenal). I due tornanti si posizionavano in linea con l’attacco, molto larghi e pronti ad entrare in area in occasione di cross dall’altro versante. Fabregas si alzava in linea con Hazard, e sia lui che il belga si muovevano molto allo scopo di non dare punti di riferimento. Si può dire che in fase di possesso il modulo del Chelsea era un 3-2-5.

In fase di non possesso, la squadra si schierava con un 5-3-1-1. I due tornanti si allineavano con i tre centrali, mentre Hazard restava in zona palla, pronto a ripartire in contropiede.

Ora che abbiamo analizzato il gioco di Conte nel corso della sua carriera, la domanda che resta da fare è solo una. Perchè il centrocampo dell’Inter non funziona come dovrebbe? Le risposte sono molteplici.

Prima di tutto il Play, Brozovic, è un giocatore veramente atipico. Ha buoni piedi soprattutto quando si tratta di vedere gli spazi, copre bene il campo ma il 70% delle volte si dimentica di uscire dagli spogliatoi. Gioca spesso svogliato, lento, timido, e dunque le prestazioni dell’intera squadra ne risentono. La riprova di ciò è data dal fatto che, quando ha voglia, ma voglia veramente, difficilmente l’Inter gioca male come ieri pomeriggio. E proprio dall’assenza del croato partiamo per parlare di Inter-Torino.

Data la mancanza di Epic Brozo, il centrocampo dell’Inter si è schierato con due mediani, Barella e Gagliardini, e un trequartista, Vidal. Data la prova di Gagliardini veramente impresentabile, il problema nel primo tempo è stato lo spazio che persisteva tra i due mediani. I due stavano distanti, non coprivano, non facevano filtro, e dunque si creavano delle voragini enormi in cui gli attaccanti del Torino si infilavano a meraviglia. Va da se che la difesa non può nulla (che sia a 3 o a 4), quando il centrocampo praticamente non esiste.

Ma perchè venivano lasciati questi spazi? La risposta è semplicissima. Gagliardini NON è UN GIOCATORE DA INTER. Non lo è. Punto e basta. Mentre Barella non è un mediano, così come non lo è Vidal e, che ne dicano i tifosi, non lo è Eriksen. 

Il problema non è nel modulo, ma negli uomini. Conte, per tutta l’estate, ha chiesto a gran voce un mediano serio, di livello mondiale. Voleva Kanté, un mediano Campione di tutto, è arrivato Vidal, il cui meglio lo abbiamo già visto. Se poi, come visto nell’ultimo mese, lo si fa giocare a 70 metri dalla porta, non se ne cava un ragno dal buco.

Il capitolo Eriksen, francamente, è ormai marginale. A Conte non piace, al giocatore non piace Conte, non piace l’Inter e non piace il campionato italiano. Un giocatore di indubbio talento ma di collocazione tattica imprecisata. Il suo gioco è tecnico ma lento, adatto alle praterie che i giocatori inglesi amano lasciare in ossequio allo spettacolo in pieno stile anglosassone (in Premier capita spesso che un match tra la prima e la seconda del campionato finisca con oltre 4 gol di scarto).

Il mediano è la chiave dei problemi di Conte a centrocampo. Nessuno dei giocatori in rosa ha le caratteristiche giuste.

Conte sono due anni che vuole Kanté, gli comprano Eriksen e Vidal. Con un Sensi in versione Desaparecido da quando si era preso le chiavi del centrocampo, si lavora con quello che si ha.

Il problema del controcampo dell’Inter sono i giocatori, non il modulo.

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